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1.   La sfida dei mutanti - 13/03/2010

Intervista a Riccardo Campa sul suo ultimo libro Mutare o perire e sul movimento transumanista

di Roberto Guerra

 

Una monografia sul transumanesimo in Italia non era ancora stata pubblicata. Libri sulla tecnoscienza o il postumanismo sono ovviamente già usciti dalle rotative negli ultimi anni, tuttavia si sentiva la mancanza di un volume esplicitamente dedicato alle idee e al movimento transumanista. A colmare il vuoto ha provveduto Riccardo Campa, sociologo dell’Università di Cracovia, nonché fondatore e presidente dell’Associazione Italiana Transumanisti (AIT). Gli abbiamo chiesto di parlarci di se stesso e del suo libro.

R. Guerra: Possiamo dire che non poteva essere altrimenti? La prima monografia sul transumanesimo scritta dal fondatore dell’AIT…

R. Campa: Se non l’avessi fatto io, l’avrebbe fatto qualcun altro. O qualche editore si sarebbe finalmente deciso a tradurre un libro di James Hughes o Nick Bostrom. Come si suol dire, siamo tutti utili, ma nessuno è indispensabile. Certamente, la passione che nutro per queste tematiche mi ha aiutato a trovare il tempo e la concentrazione per portare a termine l’opera.

R. Guerra: A dire il vero, poiché il movimento è attivo in Italia da alcuni anni e lei scrive saggi e articoli da almeno un ventennio, viene piuttosto da chiedersi perché aspettare tanto?

R. Campa: Questa monografia raccoglie appunto i saggi editi e inediti che ho scritto sul transumanesimo negli ultimi cinque anni. Dunque, non è stata scritta nel 2010. Alcuni capitoli sono già usciti in passato su riviste specializzate, in italiano o in inglese. Poiché i vari saggi affrontano aspetti diversi, possono ben fungere da capitoli di un libro. In altre parole, mi è sembrato opportuno riunire tutto il materiale in un volume unico, integrando le lacune con nuovi studi, per rendere più comodo il reperimento e la consultazione dei miei scritti su questo argomento.

R. Guerra: Possiamo però dire che il suo interesse per il futuro, la tecnologia, la futurologia, il postumano ha una storia molto più lunga dei cinque anni di esistenza dell’AIT?

R. Campa: Certamente. Ho iniziato a scrivere sul ruolo sociale della tecnica già nella mia tesi di laurea, negli anni ottanta. E poi a pubblicare articoli sul futurismo – che io considero uno dei progenitori del transumanesimo – nei primi anni novanta, su La Voce di Mantova. All’epoca avevo infatti fondato un Circolo dei Futuristi a Mantova, la mia città natale. Ho scritto sia sul futurismo storico di F. T. Marinetti, sia su quello contemporaneo di Antonio Fiore, per fare solo un esempio. In quegli anni, Internet era in fasce, perciò era ancora la carta stampata il principale veicolo per le idee. Ho anche insegnato “Storia del futurismo” e “Storia della fantascienza italiana” all’Università di Breslavia, sul finire degli anni novanta. Ma non le racconterò ora la storia della mia vita. Anche perché è assurdo fare lotte di priorità sull’idea del potenziamento umano, visto che trova precursori in Platone, Bacone, Campanella, Condorcet, Nietzsche, Trotsky, Marinetti, Julian Huxley e molti altri. Noi transumanisti contemporanei – ognuno a modo proprio – sviluppiamo e arricchiamo un’idea che ha già una lunga storia.

R. Guerra: Ho notato che il libro è diviso in tre parti. Ci può spiegare la struttura e anticipare qualche contenuto? Cominciamo con la prima parte, che lei ha intitolato I fondamenti del transumanesimo…

R. Campa: La prima parte include cinque saggi che presentano e spiegano in positivo il concetto di transumanesimo, approfondendo il suo legame con l’umanesimo, la politica, l’etica, la tecnologia e la scienza. Più precisamente, il primo capitolo di questa sezione (“Dall’umanesimo al transumanesimo”) rappresenta un tentativo di distillare gli elementi essenziali del concetto di transumanesimo, con riferimenti anche alla storia del termine. Si tratta di un saggio ancora inedito. Il secondo capitolo (“Transumanesimo e politica”) è invece apparso in forma di saggio sull’enciclopedia di MondOperaio, con un titolo diverso, ed è piuttosto centrato sugli aspetti sociali del transumanesimo e sulle diverse correnti politiche che caratterizzano il movimento. Nel terzo capitolo (“I principi etici del transumanesimo”), anch’esso inedito, ricostruisco i capisaldi morali e filosofici su cui si fonda questo approccio alle tecnologie, facendo riferimento soprattutto ai documenti ufficiali della World Transhumanist Association, recentemente ridenominata Humanity Plus – la più grande associazione transumanista mondiale. Nel quarto capitolo (“Le tecnologie convergenti e l’orizzonte postumano”) discuto alcuni dettagli tecnoscientifici del transumanesimo, ovvero come funzionano o potrebbero funzionare la rigenerazione cellulare, gli impianti cibernetici sottopelle, le mutazioni genetiche controllate, gli ibridi macchina-animale e uomo-macchina, la sospensione crionica, il mind uploading, la nanotecnologia, le superintelligenze artificiali, i robosapiens, e tutte le fantastiche invenzioni cui fanno riferimento i teorici del transumanesimo. Infine, il quinto capitolo della prima parte (“La scienza pura e l’orizzonte postumano”) è apparso inizialmente in Ulisse Biblioteca, poi come paragrafo del mio libro Etica della scienza pura e, infine, in inglese, nel Journal of Evolution and Technology. Come indica il titolo, l’indagine è centrata sui rapporti fra transumanesimo e scienza intesa come sapere teorico, ossia come sforzo di conoscere il mondo, al di là delle possibili applicazioni pratiche della conoscenza.

R. Guerra: Nella seconda parte, invece, ho visto che ci parla dei nemici del transumanesimo. Un nemico trasversale, dal punto di vista ideologico, non meno del transumanesimo stesso…

R. Campa: La seconda parte del libro porta per titolo Il transumanesimo e i suoi nemici – ovvio e forse abusato ricalco de La società aperta e i suoi nemici di Karl Popper, ma sempre piuttosto incisivo. Questa parte raccoglie appunto le analisi degli attacchi al transumanesimo, verbali e non verbali. Le critiche al progetto transumanista non sono infatti mancate. Critiche aspre, dure. E non poteva essere altrimenti, data la radicalità di questo pensiero. Ma chi ha paura del transumanesimo? Alcuni lo avversano perché lo ritengono credibile e pericoloso, altri perché lo reputano implausibile. Alcuni lo chiamano per nome, altri no. Alcuni si limitano alla critica intellettuale, altri passano alle vie di fatto, assumendo atteggiamenti violenti e intimidatori. Si inizia, nel capitolo sesto (“Il caso Unabomber”), con la ricostruzione delle idee e delle azioni dell’ecoterrorista Ted Kaczynski, non tanto perché si vogliano mettere in cattiva compagnia i critici del transumanesimo, ma perché, come poi si vedrà, molte delle critiche che verranno elaborate successivamente sono già presenti nel manifesto di questo folle e lucido nemico del progresso. Il manifesto di Kaczynski – La società industriale e il suo futuro – è un documento che esemplifica la critica di tipo ecologista e primitivista, anche se chi la elabora è un ex matematico brillante, ovvero un ex figlio della società industriale, sedotto sulla via di Damasco dall’idea del ritorno alla natura. Il capitolo settimo (“L’allarme di Bill Joy”) è significativo perché analizza le critiche di uno scienziato impegnato sul fronte più avanzato dell’Intelligenza Artificiale, che inizia a nutrire dubbi sull’opportunità del proprio lavoro e propone un bando o una moratoria di certe tecnologie GNR (genetica, nanotecnologia, robotica) che reputa pericolose. Si tratta dunque di una critica dall’interno. Il capitolo ottavo (“Il j’accuse di Francis Fukuyama e l’offensiva dei bioconservatori”) affronta invece la critica forse più nota al transumanesimo, proveniente da un umanista laico di orientamento conservatore. Non si tratta dunque né di un ecologista radicale, né di uno scienziato pentito, né di un integralista religioso. Tuttavia, egli ritiene abominevole l’idea di modificare consapevolmente la natura umana, perché teme che questo possa mettere in crisi l’idea di uguaglianza, la libertà individuale, la democrazia. Si tratta dunque di un attacco di matrice politica che apre la porta ad analoghe critiche di ideologi similmente orientati, come Giuliano Ferrara e Marcello Veneziani. Nel capitolo si fa infatti riferimento anche alle numerose invettive provenienti da esponenti del centrodestra italiano, prodotte sulla scia dell’articolo di Fukuyama o in relazione al referendum sulla procreazione assistita. Il capitolo nono (“L’anatema della Chiesa cattolica”) concentra invece l’attenzione sulle dure critiche provenienti dalle gerarchie ecclesiastiche e dai giornali legati alla Chiesa, come Avvenire e L’Osservatore Romano. Sono gli attacchi più documentati e persistenti, segno che rispondono ad una precisa strategia e sono affidati a prelati ed intellettuali di spicco della cultura cattolica. Infine il capitolo decimo (“Le speranze minime di Paolo Rossi”) rappresenta una ricostruzione delle critiche al transumanesimo elaborate dal filosofo e storico Paolo Rossi nel suo recente libro Speranze. In questo caso abbiamo una critica proveniente da un sostenitore del progresso tecnico e scientifico, nonché accademico di fama. Dunque, si tratta di una posizione particolarmente importante e significativa, alla quale abbiamo ritenuto opportuno rispondere punto per punto, giacché ci pare fondata su alcuni fraintendimenti.

R. Guerra: Nella parte terza, mi pare, lei si spoglia con più evidenza dagli abiti del ricercatore analitico e descrittivo, per indossare quelli dell’intellettuale ideologicamente orientato, del guru, dello sciamano – categoria in cui l’ha messa Paolo Rossi. Lo dice il titolo stesso: Apologia del transumanesimo

R. Campa: Nella parte terza ho in effetti riunito tre saggi dal sapore più “pamphlettistico” che possono ben fungere da risposta a molte delle critiche precedenti. Spesso i transumanisti rispondono alle critiche mostrando che ciò che accade non è nulla di nuovo sotto il sole. Sostengono che il transumanesimo è semplicemente una continuazione dell’umanesimo e, dunque, del processo di civilizzazione. Ciò sarebbe confermato dallo studio dei trend, delle tendenze, per esempio sull’allungamento della vita media, sulla graduale minore incidenza delle malattie, sul perfezionamento delle macchine, sulla crescita della conoscenza scientifica e del numero dei brevetti tecnologici, sullo sviluppo dell’industria, sull’addomesticamento delle altre forme di vita. Questo tipo di argomento è in buona parte corretto, ma non del tutto soddisfacente, perché nulla assicura la stabilità dei trend in futuro. In altre parole, è necessario un impegno concreto delle persone empiricamente esistenti, affinché il futuro sia effettivamente quello che si sogna e non un incubo. Questi saggi si inquadrano proprio nella prospettiva dell’impegno. Il capitolo undicesimo (“In difesa del transumanesimo”) è un “documento storico”, perché da esso sono state tratte due pubblicazioni piuttosto importanti per il movimento transumanista: la prima intervista in risposta a Fukuyama apparsa sulla stampa italiana (su Libero del 18 febbraio 2005) e il testo del documentario Nascita del superuomo, girato da RAI 3 e trasmesso il 15 novembre 2006. Il capitolo dodicesimo (“Manifesto dei transumanisti italiani”) rappresenta un tentativo di sintesi ideologica tra i diversi modi di intendere il transumanesimo. Si tratta di un documento culturale e politico che testimonia la volontà di andare oltre la destra e la sinistra tradizionali, oltre i miti dell’Ottocento e del Novecento – lo Stato, il mercato, la razza – per mettere al centro del discorso l’evoluzione autodiretta e salvando del passato solo ciò che può essere funzionale a questo progetto. Si tratta di uno scritto che approfondisce gli aspetti politici, religiosi ed epistemologici del transumanesimo, e ambisce a smontare uno ad uno i tanti pregiudizi degli avversari. L’ultimo capitolo, il tredicesimo (“La nostra bioetica e la loro”), è invece una risposta puntuale agli attacchi provenienti dalle gerarchie vaticane e alle critiche di tipo religioso, anche quando sono formulate da laici come Giuliano Ferrara. Si fa riferimento a diversi temi bioetici riguardanti la durata ottimale della vita, dall’eutanasia alle terapie di ringiovanimento, mettendo in luce ragioni non sempre esplicitate che stanno dietro le diverse posizioni. Lo stesso titolo è indicativo di una posizione relativistica, che non assume ingenuamente o arrogantemente l’esistenza di una sola bioetica.

R. Guerra: Per concludere, vorrei farle una domanda sul movimento italiano. Che rapporto c’è fra transumanisti ed estropici?

R. Campa: Gli estropici sono una componente importante del movimento transumanista. Volendo semplificare sono i liberisti, gli alfieri del libero mercato. Pur non essendo questa la mia personale visione – dato che considero il libero mercato un eccellente mezzo di crescita della società, ma giammai un fine o un moloch a cui debbano essere sacrificati tutti gli altri valori, a partire dalla cultura – accolgo a braccia aperte chiunque sposi la causa transumanista. Estropici inclusi. Tanto è vero che nel comitato scientifico di Divenire, la rassegna di studi interdisciplinari sulla tecnica e il postumano che curo per la Sestante Edizioni, è presente anche Natasha Vita-More, fondatrice del movimento estropico internazionale, insieme a Max More. Una componente liberista è anche presente nell’Associazione Italiana Transumanisti e convive piuttosto pacificamente con quella socialista o etno-identitaria.

R. Guerra: Ma in qualche blog si legge anche di polemiche tra le varie componenti del movimento transumanista…

R. Campa: Fa parte della normale dialettica tra diversi orientamenti. Può sempre capitare che nasca un attrito di natura politica tra un estropico e un futurista, o fra un tecnoprogressista e un sovrumanista. Succede nelle migliori famiglie. Ma io non enfatizzerei troppo queste polemiche. Bisogna sempre ricordare che l’avversario è fuori dal movimento. L’avversario è il bioconservatore, il tecnofobo, il luddista, di qualunque colore politico. E bisogna anche ricordare che il transumanesimo non è un movimento politico, ma un movimento culturale trasversale. Dopo tutto, il singolo membro può portare avanti il proprio impegno politico in altri ambienti, per esempio nei partiti. L’AIT è un’associazione la cui missione è la promozione delle nuove tecnologie e dell’evoluzione autodiretta. Come tale, è aperta a tutti gli interessati. Non facciamo l’esame del sangue a chi entra, purché rispetti le regole dello Statuto e si riconosca nei Princìpi. Nel nostro sito (www.transumanisti.it) abbiamo messo nero su bianco che l’associazione è nata dall’incontro di «intellettuali e militanti influenzati dalle idee dell’umanesimo, dell’illuminismo, del positivismo, del neopositivismo, del razionalismo critico, del superomismo nietzscheano, del marxismo trotzkista, del futurismo italiano e russo, dell’estropianesimo, della futurologia e della letteratura fantascientifica». Inoltre, per quanto riguarda ciò che ripudiamo, abbiamo precisato che «comune è il rifiuto del razzismo, del bigottismo, della superstizione, dell’integralismo e del fanatismo religioso, dell’ignoranza volontaria, delle discriminazioni sessuali, del culto della tradizione, del passatismo, della tecnofobia, e di ogni atteggiamento antiscientifico comunque motivato». Ora, se aderisce qualcuno che non si riconosce in questo quadro, la questione è materia per il suo psicanalista, non per noi. Direi che lo stesso consiglio va esteso a coloro che ci attribuiscono fini o orientamenti diversi da quelli che abbiamo esplicitato.

R. Guerra: Però è difficile fare lavorare insieme persone con idee politiche diverse

R. Campa. È difficile, ma non impossibile. Soprattutto se si ha un obiettivo comune. Dopotutto, Churchill, Roosevelt e Stalin erano seduti allo stesso tavolo. Nella stessa Chiesa cattolica ci sono persone di tutti gli orientamenti, ci sono fascisti e comunisti, democratici e liberali, bianchi e neri, leghisti ed extra-comunitari, ecc. Non vedo perché se ci riescono loro a tenere tutti insieme, non possiamo riuscirci noi. Ovviamente, per riuscirci, bisogna darsi delle rigorose regole comportamentali, di etichetta. Nella nostra associazione, per esempio, pretendiamo dal militante una certa gentilezza nei modi, un comportamento per così dire “aristocratico”. Come insegnava Nietzsche, l’aristocratico «a un discorso provocatorio, risponde con contegno e con spirituale chiarezza, non come atterrito, schiacciato confuso, pieno di vergogna, alla maniera del plebeo». E i risultati si vedono. A confronto di quello che accade nei partiti politici, dove davvero volano gli stracci, siamo ancora relativamente dei signori. Il mio invito resta sempre lo stesso: uniamo le forze per realizzare qualcosa in positivo. Dobbiamo produrre ricerche, libri, riviste, siti internet, videoclip, conferenze, raduni, seminari. Le liti lasciamole ai politici di professione. Sono cose umane. Troppo umane.
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