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I segreti della Apple tra etica e spionaggio

L'autore, docente di sociologia all'Universita' di Cracovia, interviene in occasione della Macworld Conference, affrontando il caso dei segreti industriali Apple alla luce dei suoi studi sull'etica della scienza e della tecnica

Il Giornale di Bergamo

Riccardo Campa

 

La sorpresa che ha voluto riservarci quest’anno Steve Jobs è Macbook Air, il computer portatile più leggero al mondo. I riflettori dei media sono ora puntati sulla MacWorld Conference, il rito annuale degli adepti della setta Apple, anche se quest’anno l’atmosfera sembra essere meno tesa rispetto a quella che ha caratterizzato la presentazione dell’iPod o dell’iPhone. Probabilmente perché sono mancate le rivelazioni anticipate che in passato hanno rovinato la festa. Quest’anno, Jobs ha estratto il computer da una busta per lettere, sapendo di sorprendere la platea. Intendiamoci, diversi appassionati di hi tech avevano intuito che la novità sarebbe stata un laptop di nuova concezione. Tra questi Glenn Derene, di Popular Mechanics, che non ne ha però saputo anticipare le caratteristiche. Dopo anni di battaglie legali, la multinazionale californiana sembra dunque essere riuscita a chiudere la bocca alle gole profonde che svelavano regolarmente i suoi segreti. Più di una volta Jobs si era trovato a rivelare il lancio di un prodotto già annunciato da siti internet. Era perciò andato su tutte le furie, facendo causa a destra e a manca per violazione del segreto industriale.
Quest’anno, per evitare sorprese, la Apple è giunta ad un accordo extragiudiziale con Nicholas Ciarelli, lo studente di Harvard proprietario del sito Thinksecret.com, frequentatissimo dagli internauti proprio perché in passato ha azzeccato diverse previsioni. Secondo il Los Angeles Times la società di Jobs ha versato un congruo risarcimento a Ciarelli per convincerlo a chiudere i battenti. Con lo pseudonimo Nick Deplume, lo studente aveva aperto il sito nel 1999, quando aveva appena tredici anni, ed era riuscito ad anticipare l’uscita dell’iPod nel 2001, mentre nel 2005 aveva rivelato con due settimane di anticipo il lancio del nuovo modello Mac Mini a 499 dollari e della nuova suite iLife '05.
Il caso è interessante perché solleva tutta una serie di questioni etiche. Innanzitutto, le azioni legali della Apple volte a ‘obbligare’ i blogger a svelare i nomi degli informatori (probabilmente interni all’azienda) entrano in conflitto con l’etica dell’informazione, che impone ai giornalisti di proteggere le fonti. L’avere aggirato l’ostacolo, convincendo a suon di dollari un blogger a chiudere bottega, è apparso a molti un’operazione di dubbio gusto, se non proprio immorale. Ma la questione etica potrebbe essere allargata al segreto industriale in sé. Mi sono occupato della questione nel mio libro Etica della scienza pura (Sestante Edizioni, 2007), dove ho mostrato che l’etica degli scienziati e degli ingegneri è mutata radicalmente negli ultimi tempi. Per secoli si è ritenuto che la scienza e la tecnica fossero patrimonio dell’umanità e che, pertanto, fosse un dovere morale degli inventori rendere pubblico il proprio sapere senza chiedere nulla in cambio. In genere, ottenevano un premio o un riconoscimento formale, il più importante dei quali era l’eponimia (l’attribuzione all’invenzione del nome dell’inventore: la vite di Archimede, il cannocchiale di Galileo, la macchina di Watt). Tra le due guerre mondiali, il sociologo Robert K. Merton ha codificato questa norma etica, denominandola ‘comunismo epistemico’. La musica è cambiata con gli sviluppi della rivoluzione industriale e l’introduzione dei brevetti. Dopo una fase di incertezza, alcune sentenze delle corti di giustizia hanno stabilito che l’inventore è proprietario assoluto dell’invenzione e può farne ciò che vuole. Così, la situazione si è ribaltata completamente e ora passa dalla parte del torto chi svela i segreti industriali. La storia dimostra, però, che questa norma è tutt’altro che ovvia. E le reazioni del pubblico confermano che quella vecchia idea che considera la conoscenza un patrimonio dell’umanità è dura a morire. E forse è meglio così.

Da: Il Giornale di Bergamo

 

 

 

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